domenica 3 maggio 2009

La pelata non perdona (racconto completo)

Dal cinque al sei.

Un altro, l'ennesimo, sicuramente non l'ultimo.
Un numero che, da solo, può descrivere la mia intera “carriera” da matematico.
E poi, all'amarezza del voto, si aggiunge il solito immancabile commento: “Si insomma...un voto che di per sé non è insufficiente....ma nemmeno sufficiente...”
Grazie, grazie tante, fino a li ci arrivo pure io.
Ma allora che voto è?!?
Una presa in giro per l'alunno, una scappatoia per il prof che lo appioppa, oppure solo un numero che, di sicuro, mi farà passare l'estate a studiare.
Sono convinto che goda nel mettermi un voto così insulso ed incomprensibile, sadico.
Mi chiama alla cattedra con quel suo irritante sorriso da “so tutto io”, mi invita molto gelidamente ad avvicinarmi a lui e, con tutta la noncuranza del mondo, mi annuncia il mio voto: “Cinque al sei....insomma...è chiaro che...visti i voti ” una breve pausa per prendere il fiato, che anni di fumo gli hanno incredibilmente accorciato: ”E' chiaro che quest'anno...Sì insomma penso di...”
“Non dirlo, non dirlo...Credo che chiederò al consiglio la sospensione del tuo giudizio a settembre”.
Il mio cuore si ferma di colpo come per farmi capire: “Decidi:o mi fermo io adesso con un infarto, o ci penseranno poi i tuoi”.
Trattengo il fiato per un secondo, e con la maggiore nonchalance possibile chiedo la motivazione di un tale gesto.
La risposta è la più ipocrita tra le frasi fatte: ”E' per il tuo..futuro” dice, anche se entrambi sappiamo cosa vogliono dire in realtà quelle parole.
Un futuro per me, di nuovo in seconda.
Torno a sedermi, quasi digrignando i denti, e stringendo nella mano destra quel maledetto compito.
Vorrei alzarmi, urlare, ed insultarlo come non ho mai avuto il coraggio di fare.
Ma i miei impeti vengono bruscamente, e fortunatamente, congelati dal suono della campanella che segna la fine della terza ora.
Le altre tre ore di scuola trascorrono in fretta.
Inglese e disegno non sono certo due materie per le quali me la prenderei così tanto.
Ma con la matematica è diverso, con il professore è diverso.
I suoi cinici occhi vitrei, quel modo di camminare, il cranio totalmente pelato.
Tutto in lui mi provoca una tale rabbia.
Suona l'ultima campana del martedì.
Metto frettolosamente quei pochi libri che avevo sopra il banco nello zaino e mi aggrego alla calca ammassata sulla porta.
Non bado agli spintoni che ricevo mentre scendo le scale,attraverso il corridoio ed il sole filtrato dalle vetrate non mi infastidisce minimamente.
Penso a come lo dirò ai miei genitori, a come la prenderanno, al colore che vorrei per la mia bara.
Esco dalla porta principale, giro sulla destra per attraversare il parcheggio.
Passo un paio di auto ed i miei occhi si posano su un qualche cosa di blu scuro, che luccica:una peugeot 104, una tra le più brutte macchine che io abbia mai visto.
Ma non è tanto la macchina a farmi inorridire: il guidatore non è altri che lui,il mio irritante prof di matematica.
Fingo di non notarlo...
Si ferma davanti al cancello, controlla a destra e svolta a sinistra.

Credo che il mio viso, prima pallido, debba essersi colorato di un malsano colore, tra il viola ed il verde.
Quella macchina, quell'orribile macchina.
Poi mi distrae un suono, di tipo metallico delle chiavi di casa che sbattono contro quelle del lucchetto della bici.
Il colore del mio volto rispecchiava la malvagia idea che mi era balenata in mente.
-Devo vendicarmi..- pensai tra me e me ,mentre aprivo il lucchetto della bici -Devo.-
Tornai a casa pedalando lentamente e tenendo le mani a ciondoloni.
Il giorno dopo è mercoledì, il giorno del consiglio di classe.
Quale occasione per mettere a punto la mia vendetta.
Oramai avevo deciso:quel catorcio doveva pagare.
Il mercoledì la materia più pesante è proprio matematica, alla quinta ora.
Poco prima della fine della giornata, chiedo al professore il permesso per andare in bagno.
Quasi per sfotterlo, mentre esco, giochicchio con le mie chiavi.
Rimango in bagno fino al suono della campana, aspetto qualche minuto per essere sicuro che se ne vada e me ne torno tranquillamente in classe.
Rimetto le mie cose nella cartella e scendo le scale, senza dare troppo nell'occhio.
Esco dal parcheggio e mi dirigo verso la mia bici:devo fare come ogni giorno, per non gettare, poi, alcuna ombra sulla mia innocenza.
Aspetto, fingendo di non riuscire ad aprire il lucchetto.
Quando tutti se ne sono andati, con il passo felpato di un esperto scassinatore, mi dirigo verso la Peugeot.
Il sole oggi picchia,ed i riflessi delle vetrate quasi mi accecano.
Mi abbasso tra le vetture, mi avvicino alla mia preda e, cercando di fare meno rumore possibile,estraggo dal portachiavi la chiave che ho scelto, la mia preferita:la chiave del motorino, che i miei mi hanno comprato per il compleanno e che mi lasceranno usare solo se verrò promosso.
Lo avvicino alla lucida vernice; quale soddisfazione sperare sia appena uscito dalla carrozzeria!
Gli rigo la fiancata destra.
Lo stridere della chiave sul metallo mi eccita e la scarica di adrenalina che ricevo mi incita a proseguire.
Striscio lievemente la chiave sulla vernice del cofano per poi dirigermi al fianco dell'auto: la portiera del guidatore. Proprio in quel momento pensai: “Così che, ogni volta che sale in macchina, si ricordi del dispiacere provato nel vedere la sua auto sfigurata!”.
Arrivo alla portiera, stando sempre prudentemente sulle ginocchia.
Do un'occhiata agli interni della carcassa.
Sedili foderati da un tessuto di un verde pallido ed un patetico arbre magique vecchio di chissà quanto.
Poi, una cartella nera sul sedile del passeggero attira la mia attenzione.
Ha un che di familiare, ma non le do troppo peso.
Appoggio la chiave alla vernice, sprizzando soddisfazione da ogni poro.
Ad un tratto un riflesso sul vetro del finestrino mi acceca per un secondo.
La pelata del professore, la cui figura vedevo nitidamente riflessa nel finestrino,era molto lucida quel mercoledì.
Aveva dimenticato la borsa in macchina.

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